Nutri-score o NutrInform? Etichetta “a semaforo” o “a batteria”? Potrebbe essere riassunta così la battaglia che da tempo, e in un sostanziale silenzio generale che accompagna spesso i lavori della Commissione Europea dai quali emergono provvedimenti destinati ad avere effetti sulle abitudini alimentari dei consumatori, si sta combattendo su un sistema di etichettatura alimentare che vede contrapposti Francia e Germania da un parte, e Italia dall’altra.
Una premessa: nell’ambito della “Farm to Fork Strategy”, un percorso pensato per condurre verso un sistema alimentare più sano e sostenibile, la Commissione Europea ha inteso proporre un sistema di etichettatura nutrizionale obbligatorio armonizzato a livello comunitario, che dovrebbe essere adottato entro la fine del 2022.
Che cos’ è il Nutri-score Il Nutri-score o etichetta a semaforo è un sistema sviluppato da un gruppo di ricercatori universitari francesi, egià parzialmente in uso in alcuni Paesi, che classifica le caratteristiche dei prodotti con lettere (dalla A alle E) o con colori (verde, rosso e giallo), dal migliore al peggiore, in base alla presenza di sale, zucchero, grassi o alcool. Il sistema utilizza due scale correlate per classificare la qualità dei prodotti: una cromatica divisa in cinque gradazioni dal verde al rosso e una alfabetica con lettere che vanno dalla A alla E. I prodotti vengono suddivisi in cinque categorie e il punteggio è determinato in base ai nutrienti che contengono. Fibre, proteine, frutta e verdura rientrano tra gli ingredienti ‘buoni’ e possono determinare un punteggio positivo. Altri ingredienti come grassi saturi, zucchero e sodio potrebbero invece influire negativamente se utilizzati a livelli elevati. La decisione di adottare Nutri-Score da parte di Nestlé ha scatenato le prime polemiche in Italia, con Coldiretti e Codacons che hanno bollato come “ingannevole e sbagliata” questa etichetta. A subire le conseguenze peggiori del ‘Nutri-score’, secondo la Regimenti, ‘sono i prodotti ‘made in Italy’, come l’ olio EVO, il Parmigiano reggiano, il Grana padano, il prosciutto di Parma, simboli della dieta mediterranea che continua ad essere considerata uno dei migliori modelli nutrizionali, caratterizzandosi proprio per la sua varietà e lo spiccato equilibrio nutrizionale, poiché prevede il consumo di tutti i gruppi alimentari.
Contro il sistema di etichettatura franco-tedesco si è schierata l’Italia, sostenendo che le indicazioni “a semaforo” penalizzino la dieta mediterranea e più in generale quindi i prodotti Made in Italy. L’alternativa proposta si chiama NutrInform Battery e valuta non i singoli cibi, quanto piuttosto la loro incidenza all’interno della dieta. L’etichetta è pensata come una batteria e reca l’indicazione di tutti i valori relativi ad una singola porzione consumata. All’interno del simbolo vengono indicate quindi le percentuali di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale apportati dalle singole porzioni rispetto alla quantità giornaliera raccomandata. In pratica la percentuale di energia o nutrienti contenuti dalla singola porzione sono rappresentati dalla parte carica della batteria, così da quantificarli visivamente. L’obiettivo è quello di contribuire a definire un metodo per combattere le patologie legate a scorrette abitudini alimentari.
La messa a punto di NutrInform Battery è stata compiuta da una pluralità di attori: filiera agroalimentare, nutrizionisti dell’Istituto Superiore di Sanità e del Consiglio per la Ricerca Economica Alimentare e i ministeri delle Politiche agricole, della Salute e dello Sviluppo economico.
Il motivo che ha spinto l’Italia (che nel frattempo ha visto affiancarsi alla proposta dell’etichetta a batteria anche Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Ungheria, Lettonia e Romania, cui potrebbero aggiungersi presto anche la Polonia e Slovacchia) a presentare una contro-proposta è, come detto, in primis economico: l’adozione di Nutri-Score infatti avrebbe un peso che, secondo stime di Coldiretti, ma soprattutto di Federalimentare, l’associazione che riunisce le aziende del settore, potrebbe arrivare fino al 50% dell’export. Anche se – vale la pena precisarlo – sono esclusi da questa etichettatura i prodotti DOP, IGP e STG perché l’apposizione di ulteriori loghi potrebbe creare confusione, impedendo ai consumatori di riconoscere il marchio di qualità.